Parthenope, un canto d'amore. Recensione del film di Paolo Sorrentino (2024)

Un indimenticabile viaggio alla scoperta della dolente e abbacinante bellezza di una Metropoli velata e rivelata, perduta e ritrovata. Tra la giovinezza e l’età adulta, tra dotte lezioni di antropologia e il tesoro di San Gennaro, una pellicola magicamente interpretata da Celeste Dalla Porta, Stefania Sandrelli , Luisa Ranieri , Silvio Orlando , Isabella Ferrari, Gary Oldman Peppe Lanzetta. Al cinema in Italia dal 24 ottobre distribuito da PiperFilm

“Così cantava Partenope, che provava un dolore dolce. La sua voce era una freccia che colpì il mio cuore”. Sono trascorsi più di 225 anni da quando il teutonico Johann Gottfried Herder scrisse questi versi. E grazie al talento unico e sorprendente di Paolo Sorrentino, la sirena fondatrice del capoluogo campano è tornata a ammaliarci con la sua perpetua malìa. Orchestrato da un visionario demiurgo costruttore di mondi, Parthenope(nelle sale italiane dal 24 ottobredistribuito daPiper Film) è il sublime riflesso della sua straordinaria protagonista. Tra sigarette, sogni e speranze, un film che ancora una volta parte da un lutto (come in accadeva in E' stata la mano di dio, per raccontare una vicenda e personale e universale. Perché hanno tutti ragione e tutti sono stati innamorati e si sono lasciati andare, almeno una volta nella vita.

Sussidiario illustrato della giovinezza

Triste e frivola, determinata e svogliata, viva e sola, incantata e incantatrice, Parthenope è l’avventurosa epopea di una meravigliosa sirena (Celeste Dalla Porta, un’autentica rivelazione) generata, ça va sans dire, al mare per un’opera sospesa tra cielo e terra, tra sacro e profano, tra demonio e santità. Dal 1950 al 2023, un’odissea in uno spazio magico e in un tempo perduto e ritrovato. Perché il respiro del film è sincronizzato con il mito e i miti, si sa, sono quelle cose che non furono mai, ma sono sempre.Il regista di La Grande Bellezza firma unsontuoso sussidiario illustrato della giovinezza, ma pure un requiem sull’ineluttabilità del tempo che passa e ci ammazza. Eppure, alla fine della visione ti senti come il personaggio di Misura per misura di William Shakespeare – Atto III Scena I: “Non sei né giovane né vecchioMa è come se dormissi dopo pranzo Sognando di entrambe queste età".

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La bellezza è una condanna

“Beautyis acurseon the world” sentenziava The Carver, il serial killer dell’inobliabile serie tv Nip/Tuck. E Arthur Rimbaud, dall’alto del suo ebbro genio, chiosava “Una sera, ho fatto sederela Bellezzasulle mie ginocchia. - E l'hotrovata amara". Perché la zavorra della beltà può essere pesante quanto la roccia di Sisifo. Soprattutto, quando imbocca il viale del tramonto. Per informazioni rivolgersi alla diva nota come Greta Cool (una Luisa Ranieri da antologia) e una ex attrice dal volto sempre coperto che risponde al nome di Flora Malva (una perturbate Isabella Ferrari che pare uscita da Fedora di Wilder). E intorno a questa ronde di desideri, rimpianti, rimorsi, risuona come un mantra la domanda. “ A cosa stai pensando’” Perché Parthenope è un culto misterico, un interrogativo perpetuo, un enigma insolubile. In fondo la giovinezza è durata poco

Napoli State of Mind

Il Naturalismo non è in lista vip in questa pellicola ipnotica e avvolgente, né l’abusato romanzo di formazione Parthenope, dea arguta e golosa, si nutre della Pelle di Curzio Malaparte e di Ferito a morte di Raffaele La Capria. Tuttavia, il film è More of This come canterebbe Brian Ferry. Senza impantanarsi nei paludosi stereotipi su Napoli e dintorni (già assai sbertucciati da Massimo Troisi) né tantomeno crogiolarsi su egotici attempati in fissa per la sindrome da Peter Pan e convinti che il proprio ombelico contempli l’intero globo terracqueo, il film è una sorta di Odissea, raccontata dal punto di vista della sirena. Nessuna untuosa pruderie o peggio farisaica ipocrisia. Optare per una prospettiva femminile, permette a Paolo Sorrentino di rappresentare con ricchezza frugale, con una purezza antica, Parthenope che mette in scena se stessa, tra chiari e scuri, tra la Camorra e i suoi rituali e le Fêtes Galantes. Napoli come state of mind. In fondo siamo il paese del melodramma E non si fanno sconti comitiva. Immergersi negli enigmi che abitano questo lungometraggio è come sostenere un esame con l’arcigno e coltissimo professor Marotta (Silvio Orlando in uno dei suoi ruoli più riusciti). Una poetica e parimenti prosaica pala d’altare per affrescare la magnifica ossessione di chi aspira sempre alla battuta pronta. D’altronde, in questo film il maestro Billy Wilder si trasfigura in un antropologo. Affermazione difficile da confutare, se almeno una volta si è visto Viale del Tramonto.

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Tra John Cheeever e il vescovo Tesorone

Parthenope è un film stropicciato, avvolgente, parimenti al completo sfoggiato dall’incallito scrittore etilista John Cheever (ovvero Gary Goldman, perfetta incarnazione della grande bellezza palesata dalle star straniere nei film italiani). Rinforzato da un Beppe Lanzetta in stato di grazia nei mefistofelici panni del mefistifelico Vescovo Tesorone, un ipnotico lungometraggio che ti lascia il sapore di un gin tonic in apparenza sgrassante (siamo nella terra dei limoni probabilmente migliori al mondo) per poi polverizzarti con un whisky torbatissimo. Ma è un hangover che ti spedisce diretto in paradiso, oppure all’inferno o magari nel limbo; dipende dai gusti di chi guarda. Epperò che estasi perdersi in quei baci rubati, amori proibiti, bikini appesi ad asciugare, carrozze d’oro made in Versailles. E in fondo è proprio la carrozza il mezzo più adatto per perdersi tra le stanze che popolano Parthenope, un film simile a un Labirinto. La maliò di spostarsi rimanendo fermi e financo la passione mascheramento. D'altronde sin dal suo primo corto. Luoghi comuni (1990), Paolo Sorrentino trasforma i suoi compagni di corso in Marx,Nietzsche e Gesù. Sicchè, forse la sensuale visionedi Celeste Dalla Porta adornata con il tesoro di San Gennaro nasce da un'antica reminiscenza. Sacro e profano, demonio e santità danzano sovente nella filmografia del cineasta di The New Pope

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Chi è innamorato se ne accorge prima o poi”

A Napoli c’è posto per tutto. Perché in fondo, come la protagonista di Parthenope, non sappiamo niente e ci piace tutto. Non vi è alcuna necessità di intagliarsi nel vacuo gioco di trovare riferimenti alla realtà. Si palesa, forse, l’armatore ed ex deputato Achille Lauro. Ma a chi importa? Qui si manda al potere l’immaginazione, il sentimento, il desiderio. Si frantuma a colpi di sguardi assassini, erotiche simmetrie, spalle scoperte, crocifissi su petti glabri o villosi, lacrime amare, la barca del quotidiano. Si nuota ebbri in allegorie meravigliosamente orchestrate, presepi beffardamente viventi tra l’azzurro di Capri, l’autocarro steampunk contro il colera, e il corteo per celebrare l’ultimo scudetto della società calcio Napoli. Magari il miracolo di San Gennaro è un inganno, ma il sangue non è acqua in Parthenope. Al limite mare aperto, soluzione salina di cui sono fatti i sogni, o figli di chi non si è arreso al bla bla, al chiacchiericcio imperante. Parthenope è un’opera che ribadisce la forza impetuosa delle immagini, una pellicola su quanto sia importante vedere e percepirsi. Per quello che siamo, o per quello che avremmo potuto essere, mentre Gino Paoli canta “Che cosa c’è”. Celine insegna: “Certo che è enorme la vita. Ti ci perdi dappertutto” e Riccardo Cocciante” colonna portante della colonna sonora, rincara la dose “Era già tutto previsto”. Ma vale sempre la pena di essere comunque visto. Soprattutto da un paio di occhi spenti che si accendono all’improvviso. Sicché, pure se Dio non ama il mare, è bellissimo naufragare insieme a Parthenope. Alla fine "chi è innamorato se ne accorge prima o poi”.

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Parthenope, un canto d'amore.  Recensione del film di Paolo Sorrentino (2024)
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